gianmarco caselli

El Santo: la colonna sonora dei dannati del West

– di Gianmarco Caselli El Santo, un disco per spiriti ribelli e solitari, per chi combatte contro le ingiustizie e sta sempre dalla parte del più debole; e la potente copertina di Cristina Rovini evoca in un attimo proprio tutte queste suggestioni proiettandoci nel far west e nei suoi spazi sconfinati.     Stiamo parlando del secondo album di Dome La Muerte E.X.P., il gruppo spaghetti western del mitico Dome La Muerte, uscito per la Go Down Records. E non stupisce che El Santo faccia riferimento a eroi che combattono contro le ingiustizie, a eroi solitari fuori dal sistema se si pensa a Dome La Muerte, indubbiamente il personaggio musicale più importante della storia musicale underground italiana che – fra i vari riconoscimenti – ha ricevuto nel 2019 il Premio Capannori Underground Festival 2019 per la diffusione della cultura Underground.     El Santo non è un disco come gli altri anche dal punto di vista concettuale dal momento che è concepito come una colonna sonora di un film che non esiste e, al tempo stesso, sembra una Spoon River del Far West: ogni singolo brano è infatti ispirato a un personaggio, un luogo o una situazione. Con questo album prosegue così la coraggiosa avventura di Dome La Muerte E.X.P. a otto anni dall’uscita del primo, Lazy Sunny Day, ma sempre con la stessa formazione. Va ricordato che fra il primo e il secondo. di Dome La Muerte E.X.P. è uscito in digitale un singolo per l’etichetta Cinedelic che ha prodotto il primo disco insieme alla GODown.     Abbiamo intervistato Dome La Muerte proprio riguardo a questo nuovo album.   Quali sono le differenze sostanziali rispetto al primo album, Lazy Sunny Day? Il primo album mescolava sonorità spaghetti western con brani anche cantati che si rifacevano sia alla psichedelia anni ’70, sia ai raga della musica indiana e infatti c’è molto utilizzo del sitar; la particolarità era quella di mescolare la psichedelia con i suoni da canyon. Questo invece – prodotto dalla GoDown records – è strutturato come una vera e propria colonna sonora. Ci sono dei temi, delle tracce che hanno forma canzone anche se sono tutte strumentali. Unica eccezione, a questo proposito, è la bonus track che è presente solo su vinile, registrata con Hugo Race e Max Larocca. Ci sono brani che durano più di tre minuti come altri che durano un minuto e poco più, con temi che ritornano anche durante l’album   Avevi in mente un film in particolare quando hai concepito questo album? L’album me lo sono inventato nella testa: tutti i film spaghetti western, anche quelli di serie zeta, hanno una cosa che non capivo quando avevo 13 anni e li vedevo al cinema del paese: hanno tutti un risvolto sociale e politico al di là del fatto che all’epoca venivano presi come film di puro svago e divertimento. Invece nelle trame c’è sempre il prepotente, l’eroe che lo combatte, che si scontra contro il potere, contro le ingiustizie e sta sempre dalla parte del più debole. Riflettono il periodo storico della fine anni ’60 e inizio ’70 in cui c’era una rivoluzione nelle strade; era un periodo di grandi sogni di cambiamenti che si rifletteva in questo tipo di cinema come nell’horror e nella fantascienza. Erano modalità per fare una fotografia della società. Per questo motivo ho preso questo spunto dai film spaghetti western e ho creato una colonna sonora. Ogni brano è dedicato a un personaggio, un attivista, un nativo americano.   A questo proposito c’è una dedica particolare. Sì, sul retro della copertina c’è scritto Free Leonard Peltier: è un prigioniero politico nativo americano, una sorta di Nelson Mandela degli indiani di America per il quale chiediamo la liberazione dagli anni ’80. Sul retro di copertina abbiamo riportato anche un indirizzo per avere informazioni utili per supportare la richiesta della sua liberazione.     Ci sono anche brani dedicati non solo a personaggi. Una situazione cui è dedicato un brano è l’ultimo grande massacro dei nativi americani a fine ‘800. Ma nello stesso posto è rinata la resistenza indiana. È un luogo simbolo. Ogni brano è un film. Ma come ordinare i brani lo avevo in mente ancor prima di cominciare l’album. È nata la storia prima della musica.   Musicalmente chi ha scritto i brani? I brani li ho scritti io, poi ogni componente del gruppo ci mette del suo perché sono musicisti che hanno una grande cultura musicale. Alcuni brani sono firmati con il tastierista Luca Valdambrini.   Ti piace Tex Willer? Lo leggevo. Da piccolo mi piaceva anche se non tutto. Mi piaceva di più Zagor. Anche Ken Parker. C’è un brano, Long Rifle, che è dedicato proprio a Ken Parker: è l’unico personaggio immaginario dell’album, tutti gli altri sono veri. Uno è dedicato a Gian Maria Volontè.   Esistono altri gruppi spaghetti western? In California ce ne sono.   Quando e come hai iniziato a pensare di fare un gruppo spaghetti western? Sonorità del genere le inserivo già nei primi dischi con i Not Moving, con chitarre “morriconiane”: mi è sempre piaciuta quel tipo di sonorità. Già nel mio primo disco c’erano alcuni pezzi dark blues o stile spaghetti western, però con un po’ di psichedelia. Poi tutte le band che avevo, anche i Diggers, avevano alla fine almeno un pezzo spaghetti western. Ho pensato che non potevo massacrare tutti i gruppi in cui suonavo con questa storia, dovevo fare un gruppo dedicato esclusivamente a queste sonorità.   Che tipo di riscontro ha una band con sonorità così particolari? Abbiamo avuto più recensioni e passaggi radio all’estero che in Italia, dai resoconti che mi sono arrivati. Che la band sarebbe stata molto di nicchia, lo sapevo già in partenza. Mi sono meravigliato quando ci ha notato Capossela e ci ha invitato a Sponz Fest con migliaia di persone di pubblico. Quando il pubblico ci vede ci riempie di complimenti, tutti apprezzano l’originalità. È comunque uno spaghetti western distorto, gli abbiamo dato il nostro suono con strumenti vintage.   Due

Nuova data a Prato per il tour dei CCCP

– di Gianmarco Caselli –   Si aggiunge a Prato una nuova data per il tour dei CCCP Fedeli alla Linea il 27 agosto prossimo nella programmazione del Festival Settembre Prato è Spettacolo. Un ritorno alla grande, quello della band icona del punk italiano, con un tour che è già storia, iniziato con l’ormai leggendaria data a Bologna del 21 maggio scorso.   Un tour, quello dei CCCP, che non è un’operazione nostalgica ma un vero e proprio evento che dà una scossa alla stagnante musica italiana. La formazione è al completo, quello che per i fan sembrava un sogno irrealizzabile è diventato incredibilmente realtà: Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Danilo Fatur e Annarella Giudici danno voce non solo alla generazione che li ha visti in auge negli anni ’80, ma anche alle nuove leve che non vogliono omologarsi alla musica mainstream.     Sul palco di Piazza Duomo a Prato i CCCP daranno vita a un evento che va quindi oltre il tradizionale concetto di concerto grazie alle performances di Annarella e Danilo Fatur, coinvolgenti e instasncabili. In scaletta i grandi classici della band, alcuni dei quali rivisitati, da 1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età del 1985 a Epica Etica Etnica Pathos del 1990. Il Festival Settembre Prato è Spettacolo, è organizzato da Fonderia Cultart in collaborazione con il Comune di Prato.    

Giacomo Puccini fotografo

“Qual occhio al mondo”. Puccini fotografo – La mostra allestita alla Fondazione Ragghianti rivela un nuovo aspetto del compositore lucchese   – di Gianmarco Caselli   È un Giacomo Puccini del tutto inedito e sconosciuto quello che viene proposto nella mostra “Qual occhio al mondo”. Puccini fotografo alla Fondazione Ragghianti di Lucca aperta fino al 1° aprile. Realizzata dalla Fondazione Centro studi Licia e Carlo Ludovico Ragghianti in collaborazione con la Fondazione Simonetta Puccini per Giacomo Puccini di Torre del Lago e il Centro studi Giacomo Puccini di Lucca, l’esposizione svela infatti una passione del compositore che non conoscevamo.   La mostra si articola in più sezioni basandosi sui materiali conservati nell’Archivio Puccini di Torre del Lago, e in piccola parte provenienti da altri fondi. Una vera e propria sorpresa: fino all’apertura dell’Archivio Puccini di Torre del Lago (Lucca), in particolare quando è stata concessa agli studiosi la consultazione della più importante parte della documentazione, nessuno immaginava di trovarvi pellicole e fotografie realizzate dal compositore stesso. Sono oltre ottanta le fotografie esposte. E se Puccini ha interpretato le emozioni e il mondo con la sua musica, qui possiamo ammirare come interpretasse il mondo anche con la macchina fotografica. Ai tempi del compositore non solo non era così scontato possedere una macchina fotografica, anzi. Puccini, amante delle nuove tecnologie, ce l’aveva, anch’essa esposta a Lucca, un raro modello Kodak No. 4 Panorama Camera Model B, apparecchio a cassetta (realizzato in metallo, legno e vetro) ricoperto in cuoio e prodotto nel 1899. Anche solo per le dimensioni, non piccole come le fotocamere a cui siamo abituati da anni, è evidente come scattare fotografie da parte del compositore fosse qualcosa di più che un passatempo.     Non mancano notevoli scatti di complessi architettonici e vedute panoramiche di città visitate dal compositore come New York, ma  uno dei soggetti che attira maggiormente Puccini è la natura selvaggia, incontaminata, a partire dal “suo” Lago di Massaciuccoli. Non si può rimanere indifferenti di fronte alle foto in cui il compositore ritrae  i cavalli nella pampa o l’oceano, catturato in quella che avrebbe potuto essere una semplice fotografia ricordo scattata dalla nave, e che invece grazie a Puccini emerge in tutta la sua forza naturale, irrazionale e indomita.   Nelle fotografie del compositore il confine fra fotografia artistica e scatto per “immagazzinare” nella memoria impressioni da trasferire forse in seguito nelle opere, è sottile. È questa la vera sorpresa e il valore di una mostra che va al di là della mera curiosità dello scoprire un Puccini anche fotografo.    E Puccini, sempre acuto, conscio di ciò che poteva essere valido e di ciò che poteva non esserlo durante la stesura delle proprie musiche, è probabilmente consapevole anche della validità artistica di alcuni dei suoi scatti. Ne è prova una fotografia in cui il compositore lucchese ha immortalato due barche sul lago di Massaciuccoli. Da questa foto Puccini farà realizzare una cartolina e, sotto l’immagine, scriverà a penna «!Opera mia!».     Per quanto si tratti di una annotazione ironica, è chiaro come il musicista sia consapevole di avere realizzato qualcosa di artistico, un’opera creata con una tecnologia relativamente nuova che può gareggiare con la pittura. E non a caso questa cartolina è indirizzata al pittore Guglielmo Amedeo Lori, esponente non di secondo piano del Divisionismo. Nella parte finale della mostra troviamo una serie di bellissimi ritratti fotografici del compositore fra i quali quelli che hanno tramandato la sua iconica immagine così come la conosciamo noi oggi. L’esposizione, a cura di Gabriella Biagi Ravenni, Paolo Bolpagni e Diana Toccafondi, sarà visitabile gratuitamente fino al 1° aprile 2024 nella Sala dell’affresco del Complesso di San Micheletto a Lucca, con ingresso da via Elisa, 8.     La mostra, realizzata con il supporto della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, si avvale del patrocinio della Regione Toscana e della Provincia e del Comune di Lucca, con la partnership della Fondazione Giacomo Puccini di Lucca, della Fondazione Festival Pucciniano di Torre del Lago e dell’Associazione Lucchesi nel Mondo, ente gestore del Museo Pucciniano di Celle. Il comitato scientifico della mostra è costituito da Claudia Baroncini, Barbara Cattaneo, Maria Pia Ferraris, Michele Girardi, Giovanni Godi e Umberto Sereni.   Per l’occasione è stato realizzato un catalogo (Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte) contenente le riproduzioni di tutte le fotografie esposte e i testi di Gabriella Biagi Ravenni, Paolo Bolpagni, Manuel Rossi ed Eugenia Di Rocco.     Sede Sala dell’affresco | Complesso di San Micheletto | Lucca Ingresso da via Elisa n. 8   Orari dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18 apertura straordinaria lunedì 1° aprile   | Ingresso gratuito |    www.fondazioneragghianti.it info@fondazioneragghianti.it tel. 0583.467205    

Marlene Kuntz Catartica 2024

I Marlene Kuntz a Livorno con la “data zero” del nuovo tour!

– di Gianmarco Caselli – Catartica dei Marlene Kuntz rivive nella “data zero” che fa partire il tour dedicato al trentennale del loro album d’esordio I Marlene hanno letteralmente inondato di fan il The Cage di Livorno con il concerto di presentazione di Catartica 2024, tour nato per celebrare i trenta anni dell’omonimo disco d’esordio della band: Catartica, appunto.   Per l’anniversario è uscita anche la ristampa di Catartica, sia in formato cd che in doppio lp, entrambi corredati da libretto con foto inedite e un box deluxe in edizione numerata e limitata. I Marlene Kuntz –  Cristiano Godano (voce e chitarra), Luca Lagash Saporiti (basso), Riccardo Tesio (chitarra), Davide Arneodo (tastiere) e Sergio Carnevale (batteria) – a Livorno hanno fatto rivivere ai fan la forza dirompente di un album che, quando uscì, segnò una nuova via della musica alternativa italiana. Un album che, a sentirlo suonare dal vivo oggi, stupisce ancora di più pensando a quanto abbia influito sulle band alternative italiane e a quanto fosse viva e attiva la musica nel nostro paese negli anni ‘90: ad ascoltare la musica banale e omologata che spadroneggia oggi in Italia, sembra quasi che quel periodo così musicalmente creativo e pieno di fermento culturale, non sia mai esistito. La band nel dicembre scorso ha ricevuto il Premio Ciampi alla carriera, e Godano ha anche ricevuto il Premio Lucca Capannori Underground Festival 2023 per la diffusione della cultura underground.     I Marlene dal vivo oggi sono ancora più potenti, un muro di suono esplode dal palco e affonda sul pubblico. Godano non si risparmia, salta e si infuria sulla chitarra. Ci sono pochissimi momenti di relativa quiete, la macchina dei Marlene travolge il tempo e fa sentire presenti e attuali gli anni ‘90. Godano parla poco, chiarisce che i brani di questo tour sono tutti “pre-2000” e i fan rispondono calorosamente, in particolare quando, al secondo bis, il cantante rende il giusto omaggio  all’ex batterista – tra i fondatori del gruppo – scomparso a marzo 2023: “Questo tour è dedicato a Luca Bergia che ha creato con noi Catartica.”   La scaletta del concerto: Trasudamerica Canzone di domani Gioia (che mi do) Fuoco su di te Aurora L’agguato Lamento dello sbronzo Mala mela 1° 2° 3° Infinità Ineluttabile Lieve Festa mesta Sonica Nuotando nell’ariaPrimo bis: Come stavamo ieri Ape regina M.K. Secondo bis: Ti voglio dire Bellezza  

CCCP Felicitazioni: il punk non è morto!

– di Gianmarco Caselli – Ultimissimi giorni per visitare la grande mostra “FELICITAZIONI! CCCP – Fedeli alla linea. 1984 – 2024” allestita ai Chiostri di San Pietro di Reggio Emilia: la mostra ha superato le 25.000 presenze nei primi tre mesi di apertura e la chiusura è stata prorogata al 10 marzo.   Una mostra che va in parallelo con il ritorno sulle scene dello storico gruppo punk emiliano. Una reunion che ha subito registrato il sold out con tre date a Berlino e che presto arriverà sui palchi italiani. Un ritorno che sembrava impensabile fino a che non sono apparsi i primi rumors nel 2022, anche se lo stesso Massimo Zamboni, al Lucca Capannori Underground Festival 2022 di cui era uno degli ospiti di punta, non si era allora pronunciato.     Della mostra si è detto e scritto di tutto e di più ma vi consigliamo vivamente, se non siete ancora andati a visitarla, di affrettarvi e farvi la vostra personale idea di questo viaggio che sicuramente sarà anche un po’ il vostro personale viaggio nell’universo musicale, ideologico e culturale che forse avete vissuto in quegli anni insieme alla band icona del punk italiano. L’ allestimento, fuori dall’ordinario senza ombra di dubbio, proietta il visitatore nel mondo dei CCCP attraverso ben 25 sale in un percorso che merita almeno due ore di visita. E non si tratta ovviamente di una sola esposizione di cimeli, anzi: si tratta soprattutto di una mostra immersiva, che fa sentire il visitatore parte di quel mondo, più o meno come può accadere durante un concerto o uno spettacolo.     Sono tanti e diversificati gli allestimenti nelle diverse stanze di questa mostra, così come sfaccettato, poliedrico e variegato era il mondo dei CCCP. Un mondo che si è complicato ancora di più dopo la rottura fra Zamboni e Ferretti e le  varie prese di posizione politiche del secondo (mentre invece Zamboni è sempre rimasto fedele alla linea). Così si passa da stanze dove possiamo ammirare cimeli e fotografie dei CCCP, ad altre in cui siamo immersi nella loro musica a tutto volume con altoparlanti che calano dal soffito, o in cui siamo sommersi da proiezioni video delle loro esibizioni o, ancora, dove dobbiamo passare in mezzo a gigantografie dei dirigenti dell’URSS e dei suoi stati satellite mentre siamo avvolti dalle note dell’Inno Sovietico. Perché sì, c’è anche questo ovviamente: la Storia, quella con la S maiuscola, e non potrebbe non essere presente in una mostra dedicata a un gruppo che già nel nome dà una chiara indicazione del proprio indirizzo ideologico. E questo è forse il primo vero impatto che abbiamo quando, nel chiostro principale subito poco dopo l’entrata, vediamo una Trabant accanto a un blocco del Muro di Berlino.     Tutto lascia una sensazione strana, stranissima. Ma emozionante. Per chi ha vissuto quei tempi, c’è sicuramente una punta di nostalgia che si affaccia, soprattutto pensando ai nostri, di tempi, con la musica italiana tendenzialmente appiattita su cliché e falsa provocazione. Difficilissimo pensare a un gruppo oggi che non nasca da una mera logica di mercato. Certo è che si prova anche un brivido pensando a quante analogie ci sono oggi con gli anni ’80, con il ritorno alla minaccia nucleare, al mondo diviso in due blocchi con una Russia antagonista dell’occidente. E allora forse non è un caso che appunto siano tornati i CCCP. E non importa se i nostri sono naturalmente invecchiati, anzi: il messaggio è ancora più potente, tornano da dove avevano finito senza cambiare una virgola, come se nel frattempo non fosse accaduto nulla. Sembra quasi che il messaggio sia che la band è tornata perché sono tornati tempi analoghi a quelli degli anni ’80 ma non c’è nessuno a fare quello che facevano loro, e qualcuno deve pur farlo: i CCCP. E questo conforta coloro che, ai tempi già li seguivano: il punk non è morto, i CCCP non sono morti, e pure i visitatori che sono cresciuti con loro e con la loro musica non si sentono più morti. Si sentono vivi, più vivi che mai come i CCCP. Impossibile rimanere indifferenti.   La mostra è stata prodotta e organizzata dalla Fondazione Palazzo Magnani e dal Comune di Reggio Emilia. La grafica della pubblicazione e i loghi della mostra sono stati creati da Matteo Torcinovich per Interno4 edizioni. Il progetto allestitivo è curato da Stefania Vasques e si arricchisce dei contributi artistici di Arthur Duff, Roberto Pugliese, Stefano Roveda e Luca Prandini; il light design è firmato da Pasquale Mari. Il progetto espositivo è realizzato grazie ai Fondi europei della Regione Emilia-Romagna. Hanno contribuito alla realizzazione della mostra Coopservice e Coop Alleanza 3.0.        

Spazio G43: la galleria alternativa di Prato, festeggia i suoi quattro anni con CRP Collettivo Rivoluzionario Protosonico

Lo SPAZIO G43, la più piccola galleria alternativa di Prato compie quattro anni e ha voluto festeggiarli sabato 3 febbraio con la musica dal vivo del gruppo industrial punk CRP Collettivo Rivoluzionario Protosonico che per la prima volta si è esibito con la nuova formazione.   Lo Spazio G43 è una galleria alternativa con una particolarità: nata durante il periodo pandemico, è piccolissima, misura solo 210 x 180 cm. La G43 è stata concepita da Enzo Correnti – noto artisticamente come Uomo Carta – in un disimpegno del proprio appartamento, ed è diventata in poco tempo un punto di riferimento per gli artisti alternativi.   Enzo Correnti è un artista performer, poeta visivo, mail artista, collagista, ideatore e curatore di “Esserci senza esserci” e molto altro ancora, e ha partecipato alle due ultime edizioni del Lucca Capannori Underground Festival.   Tornando allo Spazio G43, in questo “disimpegno” collocato tra le camere e il bagno, ci sono 5 porte e un frigo in disuso che diventano parte attiva della mini-galleria.   Può sembrare incredibile viste le sue piccole dimensioni, ma la galleria in questi anni è stata molto attiva: «Nei quattro anni di vita dello Spazio G43 − spiega Correnti − sono state ospitate quattro mostre personali, quattro collettive, letture di poesie, danza butoh, video-art, video performance, performance, ascolto di musica da vinili rari e musica dal vivo. Con questa mostra raccontiamo quattro anni di intenso lavoro di partecipazione, di sperimentazione, di incontri avvenuti allo Spazio G43: _guroga, artista venezuelana, ha realizzato tutte le locandine degli eventi esposte».   L’esibizione del CRP Collettivo Rivoluzionario Protosonico con la nuova formazione   Sorprese anche da parte dell’ospite d’onore, il gruppo industrial punk  di Capannori, CRP Collettivo Rivoluzionario Protosonico che ha aperto il live con un brano inedito e che si è esibito per la prima volta con la nuova formazione. Lo scorso dicembre, infatti, Chiara Venturini è stata annunciata sui social del CRP come nuova componente del gruppo: «Non vedevo l’ora di esibirmi come membro effettivo dei CRP, e averlo fatto per la prima volta in un contesto così particolare è stato ancor più siginficativo». «Lo Spazio G43 è una piccola grande realtà − affermano i CRP − capace di attrarre e coinvolgere numerosi artisti della scena culturale alternativa. Sono situazioni che ti aspetteresti di trovare a Berlino, e non in città italiane».     Spazio G43 polo di attrazione di artisti alternativi       Presenti al festeggiamento dei quattro anni della G43 numerosi artisti della scena culturale alternativa: Murat Onol che ha curato l’allestimento, Ina Ripari, Mattia Crisci e Lauraballa che operano a Prato, Ubaldo Molesti dell’area fiorentina e Maya Lopez Muro molto attiva nel mondo della mail art, Claudio Balducci fondatore e caporedattore di SCHEDA Metropolitana di Prato e infine l’esperto d’arte Contemporanea Piero Cantini che è stato anche l’allestitore delle mostre al Centro Pecci di Prato per una ventina di anni. Ha partecipato anche l’assessore alla cultura del Comune di Prato, Simone Mangani.   

OOOHM Festival

Al via OOOMH Festival (Out Of Ordinary Music Hills Festival) da un’idea di Antonio Aiazzi!

– di Gianmarco Caselli – Prende il via la prima edizione di OOOMH Festival (Out Of Ordinary Music Hills Festival), un festival musicale di “suoni diversi dal solito, ricercati, che vanno dall’elettronica all’ambient, dall’art rock alla sperimentazione” nato da un’idea di Antonio Aiazzi e Simone Stefanini. Tre giorni di musica in cui si esibiranno a Guardistallo, dal 19 al 21 gennaio 2024, artisti come il duo costituito dal membro fondatore degli  Einsturzende Neubauten, Alexander Hacke, con Danielle De Picciotto, e lo stesso Antonio Aiazzi con l’amico, nonché collega musicale dai tempi dei Litfiba, Gianni Maroccolo. Il Festival è organizzato da Arte Residente e Ass. Piccola Parigi. Abbiamo intervistato Antonio Aiazzi che, insieme a Gianni Maroccolo, a novembre scorso, è stato ospite di Lucca Capannori Underground Festival 2023. Durante l’evento, co-condotto da Master Mixo, Aiazzi e Maroccolo hanno ricevuto il Premio Lucca Capannori Underground Festival per la diffusione della cultura Underground.     Aiazzi, un Festival nuovo ha bisogno di una presentazione. Avevamo iniziato a ragionare all’interno dell’associazione Arte Residente di cominciare a fare un festival. L’occasione si è presentata perché abbiamo dei partner sulla costa, e uno di questi aveva ricevuto la proposta del concerto di Hacke-De Picciotto. È stata la scintilla per organizzare un festival a Guardistallo, un festival il cui titolo fa già capire che andiamo a fare cose fuori dall’ordinario.   OOOMH si terrà nel contesto del teatro Marchionneschi, un teatro di fine Ottocento nel borgo toscano di Guardistallo (PI), in una collina a due passi dal mare. Sì, a Guardistallo mi sono legato al Teatro Marchionneschi dove, quasi tre anni fa, abbiamo portato delle prove di Mephisto Ballad con Maroccolo, e da quel momento ho cominciato a fare una progettazione di gestione molto sperimentale: è un vero e proprio centro di produzione. Abbiamo acquistato varie tecnologie – come i mixer digitali – e i camerini sono stati trasformati in regie audio. Non è un teatro come si concepisce solitamente con la compagnia teatrale, gli spettacoli e gli abbonati. È un luogo dove si registrano dischi, si fanno residenze musicali, e abbiamo costituito una rete intorno al teatro che riguarda gli appartamenti per le residenze, convenzioni con ristoranti etc. È la forza del borgo. Tutto questo per adesso senza fondi istituzionali.   Fare un festival del genere oggi non è proprio facile. Ma è anche la sua forza. È anche una prova per capire il territorio, che fra l’altro ora, essendo sul mare, è anche al minimo della presenza. Ma dovevamo iniziare. Ci tenevo perché vorrei provare a fare anche un’edizione estiva. In questi primi tre eventi si passa dalla musica di Satie e Glass con il primo appuntamento che vede esibirsi Alessandra Celletti, a Hacke-De Picciotto con il mondo musicalmente sperimentale che si portano dietro; il terzo appuntamento, di pomeriggio, sarà con Fabio Capanni – musicista molto particolare che ha suonato tanto all’estero – insieme a me, Gianni Maroccolo e Luca Fucci. In questa occasione eseguirò due brani  “nuovi”: erano nel computer da anni e riascoltandoli li ho trovati bellissime.           Con Maroccolo proseguono amicizia e collaborazione. Dopo il bellissimo “Mephisto Ballad” avete già in mente altro? Qui arriverà una produzione per un progetto con lo scienziato Telmo Pievani e faremo uno spettacolo con la band di “Nulla è andato perso” su cui lavoreremo per almeno un mese, ma è solo una delle tante. Pensi che la musica alternativa stia ricostruendo un proprio habitat? Mah… secondo me è un problema che va oltre la musica. Si deve capire come riportare un pubblico a vedere un concerto. Se vai alla ricerca di cose fuori dagli schemi questo è un bacino ancora piccolo. Bisogna lavorarci tanto. Iniziamo un investimento. speriamo che possa venire supportato maggiormente durante l’estate.                    

Il giovane Mel Brooks in un fumetto di Isabella Di Leo!

– di Gianmarco Caselli “Mel Brooks & Sid Caesar: È bello essere il re!”, il nuovo fumetto di Isabella Di Leo dedicato a Mel Brooks edito dalla casa editrice “Becco Giallo”, è stato presentato in anteprima a Lucca Comics & Games 2023. Un volume di ben 300 pagine in cui la Di Leo ritrae Mel Brooks che ripercorre la propria storia personale raccontandola a Gene Wilder durante le fasi finali di montaggio di “Frankenstein Jr”.     Una storia che non può non appassionare e che si incrocia con quella di Sid Caesar, uno dei pionieri della televisione americana anni ’50 con i programmi “Your Show of Shows” e “Caesar’s Hour” che intrattenevano ogni sabato sera più di trenta milioni di americani davanti allo schermo. Fu proprio Caesar a scoprire Mel Brooks e fra i due scatterà qualcosa di più di un rapporto lavorativo. Ed è proprio nell’approfondimento della psicologia dei due personaggi che la Di Leo dà il meglio di sé scovando i demoni che agitavano i due showmen. Abbiamo intervistato la Di Leo a Lucca Comics & Games 2023. Il tuo precedente lavoro era su “Frankenstein Jr.” Questo è il tuo secondo libro su Mel Brooks: è una dipendenza? Lo è, ne sono appassionata da quando sono ragazzina. Adesso che sono ufficialmente diventata fumettista volevo fare un omaggio al mio più grande idolo. Quindi è una scelta tua. Assolutamente sì, l’ho proposta io. La prima idea su Frankenstein Jr l’ho proposta nel 2019 e questa quasi due anni fa. La casa editrice “Becco Giallo” è stata felicissima di accogliere entrambe le idee. Tu hai scritto solo la sceneggiatura o sei autrice anche del resto? Esattamente, sono autrice di tutto: soggetto, sceneggiatura, inchiostri e colore. Perché hai detto “adesso che sono ufficialmente diventata fumettista”? Perché ho cominciato a stampare nel 2019 con Triplo guaio, non sono più autrice solo con strisce sul web. In questo lavoro hai approfondito il Mel Brooks degli esordi. Chi era? In Italia Mel Brooks è più conosciuto da quando ha cominciato a fare Frankenstein Jr. Non è molto conosciuto il Brooks ventenne, che era un bravissimo sceneggiatore televisivo che ha collaborato con i più grandi comici del periodo come Jerry Lewis e Woody Allen. Immagino tu abbia dovuto sacrificare qualcosa: ti è dispiaciuto lasciare da parte qualcosa in particolare? Qualche gag che avrebbe reso ancora più umano Mel Brooks ma già il fumetto è di trecento pagine, dovevo assolutamente tagliare qualcosa che poi magari metterò sui social per i miei fan. Cosa hai invece privilegiato? I suoi demoni: ciò che ha vissuto come soldato in guerra, come questa esperienza lo abbia trasformato, come gli abbia procurato delle nevrosi. È la parte di lui che meno si conosce: lo si conosce come pagliaccio ma era importante far vedere come questo pagliaccio nasca anche da tali nevrosi. E tu hai scoperto qualcosa che non conoscevi di lui? Prima di cimentarmi in questa biografia ho comprato libri e interviste e ho scoperto proprio questo lato più nascosto, i traumi lasciati dalla guerra, gli attacchi paranoidi da cui era afflitto. Lo stile del disegno: resta il tuo tratto o c’è qualcosa che hai cambiato per narrare questa storia? Credo di avere avuto influenze con gli artisti che più copiavo da ragazzina come Toriyama di Dragon Ball, Bruce Timm di Batman, Don Rosa di Walt Disney. Nel mio stile c’è un pelo di loro tre. No, ho mantenuto il mio stile per raccontare questa storia.