Ecco cosa è successo ai Magazzini Generali di Milano il 7 novembre.
di Carlo “Charlie” Matteoli
C’è poco da girarci intorno, inutile sperare che leggiate tutto quello che sto scrivendo adesso mentre provo a raccontarvi il concerto dell’altra sera: vedere i Green Day suonare a pochi metri di distanza, senza scenografie e su un “normale” palco di un club è stata una di quelle esperienze che, ne sono sicuro, non potrò dimenticare finché avrò un briciolo di memoria nella testa.
Ora volete comunque sapere qualcosa di più?
LAS VEGAS: DOOKIE SUONATO A SORPRESA IN UN CLUB
Andiamo indietro di qualche settimana e più precisamente al 18 ottobre: i Green Day sono già arrivati a Las Vegas dove tre giorni più tardi saranno headliner del mega festival “When We Were Young 2023” (una sorta di revival pop-punk formato gigante). Inaspettatamente annunciano che il 19 si esibiranno al Fremont Country Club Bar, un locale della downtown che può contenere al massimo 1000 persone.
Sorprese finite? Decisamente no! Una volta saliti sul palco non solo suonano “Dookie” (l’album del 1994 che li ha resi famosi in tutto il mondo) dall’inizio alla fine ma anticipano che nel 2024 faranno un tour negli stadi americani assieme a The Smashing Pumpkins e Rancid per celebrare i 30 anni del succitato album, aggiungendo che maggiori dettagli (anche riguardanti date europee) usciranno in seguito. Nel giro di poche ore la notizia e il video della performance fanno il giro del web scatenando i commenti (e l’invidia) dei fans di tutto il globo.
L’ANNUNCIO DEL BATACLAN
Una decina di giorni dopo, il 30 ottobre, arriva una nuova sorpresa: attraverso i social ufficiali la band dice che salirà su un aereo per andare al Bataclan di Parigi (locale simbolo del rock transalpino, capienza 1500, tristemente noto anche ai non appassionati di musica per l’orribile carneficina del 13 novembre 2015).
Nello stesso post c’è anche un P.S. “we’ll be seeing some more of you in other cities very soon” e da quel momento gli occhi di chi sa che la band durante la sua lunga carriera ha già fatto cose simili a Milano sono tutti puntati sul capoluogo lombardo.
A mescolare sapientemente le carte, giusto un paio di giorni dopo, esce l’annuncio del tour estivo nelle grandi arene europee che, chi gravita nel mondo dei concerti lo sospettava già, non includerà però né The Smashing Pumpkins né Rancid e vedrà l’unico appuntamento italiano in uno degli ippodromi della città meneghina a giugno.
Ma chi, come il sottoscritto, crede fortemente che dopo il Bataclan potrà esserci qualcos’altro di succoso non smette di sperare.
LA CONFERMA
Ed ecco che la domenica mattina, dopo il facilmente pronosticabile entusiasmo di Parigi, un nuovo messaggio sui social porta la conferma:
6 novembre ore 10:01: Biglietti terminati.
6 novembre ore 21:00: mancano 24 ore all’evento e c’è già qualcuno accampato fuori dai Magazzini Generali.
7 novembre ore 19:30: una lunga fila occupa il marciapiede di Via Pietrasanta procedendo lentamente verso l’ingresso. Le porte per i 1000 possessori di biglietto sono aperte mentre oltre le transenne sono vari i curiosi e gli speranzosi di trovare un biglietto all’ultimo minuto.
SIAMO DENTRO
Alle ore 21:00 il locale è pieno, inclusa la balconata occupata da addetti ai lavori, ospiti e volti più o meno noti. L’attesa fra il pubblico si può riassumere in tante spalle alte e teste dritte rivolte verso il palco che sbarrano la strada verso una posizione migliore; sembra che l’unico escamotage per avanzare sia provenire dal bancone del bar con passo incerto, una birra per ciascuna mano e lo sguardo un po’ smarrito alla ricerca di qualcuno più avanti con l’espressione del tipo “hey… arrivo, appena riesco a passare, speriamo che non si versi la birra!”.
Nel frattempo si spengono le luci: prima i gregari (da tanti anni ormai i Green Day sono affiancati sul palco da strumentisti aggiuntivi) poi i tre della East Bay fanno ingresso sul palco fra sorrisi, saluti e andamenti per niente concitati. Il pubblico si scalda ma la situazione rimane, tutto sommato, composta.
Mi giro verso Massimo, il mio storico compagno di concerti, e gli dico: “ci vorrebbe che al primo accordo impazzissero tutti”.
Billie Joe Armstrong, in camicia a righe (la stessa vista su YouTube mentre solo qualche giorno prima invidiavo i mille di Las Vegas), imbraccia una delle sue Gibson e, senza attendere oltre, procede con la sequenza di accordi che apre American Idiot; pochi secondi che però mi lasciano il tempo di pensare “OK, la gente urla e salta… ma sono tutti al proprio posto, che succede?” poi arriva il colpo sul rullante di Tré Cool e con esso un’onda fatta di gomiti che si dirige verso il palco.
Le onde le puoi affrontare in tre modi: facendoti tirare giù, cercando di rimanere a galla o… cavalcandole.
Una vita adorando il mare e più di metà della stessa andando ai concerti mi hanno reso la scelta facile pur non avendo mai preso lezioni di nuoto o di surf. In pochi attimi ecco che le spalle alte di quei tizi (probabilmente coetanei ma percepiti come più vecchi) immobili in attesa che il concerto iniziasse sono solamente un ricordo: effimero, poco piacevole e lontano.
Le prossime saranno circa due ore di sudore mescolato a quello di altre decine di persone, salti, pezzi di canzoni urlati, sguardi complici all’inizio di brani inaspettati, emozioni che arrivano quasi a strizzarti gli occhi e la gola.
Dopo Holiday ecco lo scontato tris di anticipazioni di “Saviors”, l’album in uscita ad inizio 2024: Look Ma, No Brains, 1981 (ottima annata!) e The American Dream Is Killing Me; le prime due più punk rock classico (si può percepire l’influenza di Ramones e discendenti vari) mentre la terza con un andamento meno serrato, maggiormente incentrato sulla sezione ritmica basso-batteria, e con la “modalità anthem” inserita.
Ed è proprio con The American Dream Is Killing Me che i Green Day, a distanza di vent’anni dal successo di “American Idiot”, continuano a puntare il dito sull’ipocrisia del “sogno americano” che, sostiene Armstrong durante un incontro il pomeriggio con alcuni giornalisti, “è diventato un incubo per molte persone. L’idea del sogno americano, fatto di un buon impiego, una famiglia e gente sorridente, non esiste se ci sono persone senza una casa, che non riescono ad arrivare a fine mese; il costo della vita è schizzato alle stelle e le persone finiscono a vivere in micro appartamenti situati all’interno di mega edifici” e ancora: “Credo che l’America sia tra le popolazioni più divisive”.
La scaletta tocca il suo massimo subito dopo, con una serie di brani tratti dai primi lavori che include anche alcune sorprese: BJ che si sbraccia per stoppare Tré sul timpano di Longview decidendo di aggiungere Chump e una Stuart and the Ave. che probabilmente in Italia non è mai stata suonata nemmeno durante il tour di “Insomniac”.
La ripetizione di Look Ma, No Brains (la stessa cosa è stata fatta a Parigi, non solo con questo ma anche con l’altro singolo) fra Welcome to Paradise e Geek Stink Breath denota la duplice volontà della band di convincere il pubblico che anche un nuovo brano può stare in mezzo ai cavalli di battaglia e, al contempo, di migliorarne la resa live, cercando di capire dove il pubblico può essere maggiormente agganciato e dove invece c’è ancora da lavorare.
Alla fine Armstrong si gira verso il suo fedele batterista che gli risponde strizzando l’occhio e facendo “OK” con la mano; evidentemente stavolta sono rimasti soddisfatti.
Un assaggio di “Kerplunk!”, il primo album di Frank Edwin Wright III ovvero Tré (ogni volta che ci penso mi vien da ridere!) dietro le pelli risalente alla fine del 1991, con 2000 Light Years Away e la sempre meravigliosa Christie Road (la quantità di persone che canta fa capire che l’età media del pubblico è ampiamente over 30 per non esagerare dicendo che arriva a 40…) ed ecco che si viene catapultati nel 2004 con Letterbomb, la cui resa dal vivo mi stupisce ogni volta, e Boulevard of Broken Dreams che permette al pubblico di respirare e, ai più, alzare i telefoni.
CUORE E TRE ACCORDI
Poi i ritmi tornano più serrati arrivando fino a She, fra le più gettonate da una piccola parte di pubblico che, conoscendo la propensione del frontman a far salire gente sul palco, chiede con cartelli più o meno improvvisati di poter suonare una canzone; She infatti non è solamente uno dei pezzi più belli di “Dookie” ma anche l’ennesima dimostrazione che con tre (3 e non uno di più) accordi si può fare un brano tanto coinvolgente quanto potente.
Se è vero che comunque quei tre accordi li devi saper suonare bene è il cuore l’elemento che non può mancare per la riuscita della canzone.
I Green Day di cuore ne hanno ancora, è ciò che emerge anche nel corso di questa incredibile ed inaspettata serata; infatti basta guardarli e Tré Cool, nonostante inizi ad assomigliare ad Elton John, ha il solito sorriso da buffone, Billie Joe non smette nemmeno per un attimo di cercare il contatto col pubblico e Mike Dirnt fa quelle espressioni tutte sue mentre pesta sul basso proprio come in quei video dei live che VideoMusic (sigh!) trasmetteva quasi trent’anni fa.
Nessuno del pubblico verrà fatto salire sul palco stasera ma è come se tutta la pista dei Magazzini Generali, in qualche modo, fosse già lì sopra con un abbraccio collettivo che i Green Day adorano provare e al quale spesso sono costretti a rinunciare viste le grandezze delle location necessarie ad ospitare il numero di spettatori corrispondente ai biglietti venduti.
Palasport, grandi Piazze, Arene e Ippodromi con le loro barriere, i maxischermi, le decine e spesso centinaia di metri di distanza sono sempre stati i luoghi d’incontro col pubblico del Belpaese. Stavolta non è così.
Non ci sono schermi, non ci sono effetti scenici, non ci sono fuochi e fiamme.
Ci sono solamente band e pubblico con la musica che, sopratutto nelle prime file, si sente più dai fusti della batteria e dagli amplificatori che dall’impianto. Anche l’addetto foto-video presente sul palco non resiste e, durante l’esplosione di Basket Case, fa stage diving.
Un nuovo apice è stato raggiunto, da ora in poi sarà tutta discesa con brani più recenti e chitarre acustiche che porteranno verso la chiusura di una serata in cui tutti i presenti, dal ventenne brufoloso al cinquantenne stempiato, hanno avuto la possibilità di lasciare fuori dai Magazzini Generali le loro preoccupazioni, le difficoltà e tutte quelle cose che ci rendono la vita meno leggera di quanto dovrebbe essere.
Un sogno. Meglio delle aspettative. Un VERO concerto, come non mi godevo da un sacco di tempo.
PS: mentre questo testo viene ultimato, i Green Day hanno cancellato lo show di Londra per malattia di ben tre dei 6 componenti totali, dopo aver fatto un mini show acustico a sorpresa in un pub londinese.
Setlitst:
- American Idiot
- Holiday
- Look Ma, No Brains!
- 1981
- The American Dream Is Killing Me
- Burnout
- Chump
- Longview
- Stuart and the Ave
- Welcome to Paradise
- Look Ma, No Brains! (suonata per la seconda volta)
- Geek Stink Breath
- 2000 Light Years Away
- Christie Road
- Letterbomb
- Boulevard of Broken Dreams
- Brain Stew
- St. Jimmy
- Warning
- Revolution Radio
- She
- Oh Love
- Basket Case
- Father of All…
- Minority
- Homecoming
- Whatsername
- Last Night on Earth
- Good Riddance (Time of Your Life)