Il Centro Studi Gaetano Giani-Luporini

– di Chiara Di Vito –

 

Nella conferenza stampa tenutasi nella Sala degli Specchi di Palazzo Orsetti a Lucca lo scorso 19 novembre, è stato presentato il Centro Studi Gaetano Giani-Luporini.

 

Erano presenti – oltre al sindaco di Lucca Mario Pardini e all’assessore Mia Pisano – la Presidente del Centro Studi Gaetano Giani-Luporini Giovanna Morelli, la presidente del Conservatorio “L.Boccherini” Maria Talarico, e alcuni membri del Consiglio Direttivo e Soci fondatori del Centro Studi: Gabriella Biagi Ravenni, Ilaria Baldaccini, Marco Paoli, Paolo Giorgi, Francesco Gesualdi, Fabrizio Giovannelli, Fabrizio Papi e Gianmarco Caselli.

 

Conferenza stampa di presentazione del Centro Studi Gaetano-Giani Luporini

 

Il Centro Studi Gaetano Giani-Luporini, nato a due anni e mezzo dalla scomparsa del compositore lucchese, si colloca nel panorama di una città unica al mondo per la sua tradizione musicale, si pensi alla dinastia dei Puccini, ma anche a Luigi Boccherini o Alfredo Catalani. «Un anello imprescindibile di questa tradizione – spiega Giovanna Morelli  è costituito dalla dinastia dei Luporini, ultima grande stirpe di compositori lucchesi, nonno e nipote, entrambi Direttori dell’Istituto musicale della città. Il Centro si prefigge di valorizzare la produzione di Giani-Luporini e del suo avo materno (all’epoca operista di fama) con una particolare attenzione al dialogo tra passato e presente, tradizione e contemporaneità».

 

 

Gaetano Giani-Luporini (Lucca 1936 – Barga 2022) è stato tra i protagonisti della musica colta del secondo novecento. Nato in una famiglia di musicisti – la mamma Annunziata era pianista e il nonno materno Gaetano Luporini era all’epoca compositore di fama e direttore dell’Istituto Musicale di Lucca – è stato autore di musica da camera, sinfonica, corale ed operistica eseguita nei più importanti teatri, sedi di concerto e presso enti radiofonici italiani e stranieri. Dal 1980 al 1998 ha collaborato con Carmelo Bene, per il quale ha scritto le musiche di scena di sette spettacoli: “Majakowskij” (1980), “Pinocchio” (1981), “E mi presero gli occhi” (1982); “Adelchi” (1984), “Coro di Morti” (1997), “La figlia di Jorio” (1997), “Concerto mistico” (1998). Parallelamente a quella di compositore, ha svolto un’intensa e apprezzata attività di poeta e pittore, con mostre personali e collettive in Italia e all’estero, e ha tenuto conferenze sull’evoluzione del linguaggio musicale.

 

 

Il Centro Studi nasce su iniziativa della Prof.ssa Giovanna Morelli – moglie e collaboratrice di Gaetano Giani-Luporini, filosofa, saggista, analista biografica a orientamento filosofico, già critico teatrale, regista e docente di Arte scenica – che per l’occasione abbiamo intervistato.

 

Come nasce l’idea di un Centro Studi dedicato alla figura di Gaetano Giani-Luporini? 

«L’idea nasce nei giorni immediatamente seguenti alla scomparsa di mio marito. Il vuoto che lascia l’assenza terrena è culla della presenza spirituale,  alla quale possiamo offrire una memoria vivente che traduca il ricordo in nuova e partecipata vita. La nuova vita delle sue musiche e di quanto ha lasciato non solo come musicista, ma come docente, uomo di cultura e artista a tutto tondo. Una associazione dedicata mi è sembrato il modo migliore per onorare questo compito. Un Centro Studi Giani-Luporini, in una città la cui tradizione musicale è unica al mondo e che vanta due altri importanti Centri di Studi musicali intitolati a Boccherini e Puccini. La sede del Centro non poteva che essere Lucca, perché Lucca ha dato i natali, anche artistici, al Maestro; vorrei che la sua opera continuasse a portare linfa artistica e culturale a questa città alla quale ha dato tanto. E che, ripartendo da qui, la sua musica riprendesse il volo. Da subito ho sperato in una collaborazione del Centro con il Conservatorio cittadino. Il primo passo di questa collaborazione è stato la mia donazione del suo archivio musicale e documentario al Conservatorio; grazie alla cura del Direttore di biblioteca, Paolo Giorgi, è stato attribuito un dottorato triennale su scala nazionale, in cui troverà spazio la catalogazione e digitalizzazione delle sue musiche e il riordino di quelle del nonno materno, Gaetano Luporini, compositore contemporaneo di Puccini e all’epoca operista di fama, le cui opere furono donate al Conservatorio dallo stesso nipote. A partire da questo lavoro basico, imprescindibile, e in continuità di intenti con questo primo dottorato, vorrei che il Centro si facesse promotore di iniziative di studio, ricerca e formazione, trovando nel tandem familiare dei “Luporini” il simbolo di un dialogo tra “avanguardia” (come  si usava dire nel ‘900 ) e tradizione».

 

Una produzione musicale giovanile influenzata dal tardo romanticismo, poi l’incontro con Roberto Lupi e l’avvicinamento a una concezione più spirituale della musica. Cosa ha caratterizzato lo stile compositivo di Gaetano Giani-Luporini?

«La musica contemporanea ha bisogno di essere familiarizzata al pubblico e la musica di Giani-Luporini, come è ampiamente riconosciuto, ha una forza di coinvolgimento insolita, pur nelle “asperità” sperimentali del linguaggio. Direi un “pathos” che nasce  da un lato dalla forza materica, sensuale della sua musica e dall’altro dal profondo anelito conoscitivo dell’anima che si interroga sulla nostra esistenza terrena, sul suo mistero. Questo mistero nell’opera di Giani-Luporini non porta via dal mondo, ma anzi percorre tutte le sfaccettature terrene dell’esistenza, dal quotidiano al sublime, dal lirico al grottesco, a partire dall’esperienza timbrica e intervallare del suono, dalla forza che passa tra un suono e l’altro; un suono in qualche modo sacralizzato, come una bacchetta rabdomante lungo le vie dell’anima. Gli interpreti della sua musica sono i primi a riconoscere questa intensità evocativa. Da questa capacità di ascolto dell’“anima del suono” (o del “suono dell’anima”) deriva anche “l’empatia sonora” che consente a Giani-Luporini di risuonare con gli stili del passato al punto di scrivere un magistrale trattato di contrappunto, edito nel 2019, o dei perfetti “falsi storici” come scherzosamente chiamava  le sue musiche in stile, o di stendere le sue partiture per la voce di Carmelo Bene; sia in Giani-Luporini che in Bene la voce e il suono sono essi stessi teatro, la prima forma di tragedia e di commedia, in una sorta di nuda epica sonora».   

 

Secondo lei, Gaetano Giani-Luporini ha lasciato “solo” il suo segno o piuttosto una sorta di eredità? La sua opera è proseguita o ha avuto influssi in altri compositori o contesti?

«Di questo potrebbero dire molto coloro che con lui hanno studiato, a partire da Gianmarco Caselli, compositore e direttore responsabile della vostra testata, che a Giani-Luporini ha dedicato due libri, uno dei quali relativo proprio alla “scuola” (in senso lato) di Giani-Luporini. Mi è capitato di parlare di “amicizia nell’arte” a proposito del legame tra i vari soci fondatori del Centro e Giani-Luporini. L’amicizia, chiamiamola philia, ha molte forme. Una delle forme più belle di philia è quella che passa tra un maestro e un allievo, tra un autore e un interprete, tra un  autore e uno studioso – anche quando non si siano mai conosciuti. Credo che la philia di Giani-Luporini, il suo insegnamento e la sua opera  proseguano in chi sa accostarsi all’esperienza della musica come percorso interiore, esistenziale; un percorso di devozione e libertà: devozione come disciplina storica del suono, cimento artigianale, umiltà nell’apprendere i segreti della forma, e libertà come piacere di cercare e trovare il proprio suono, la propria forma, dopo aver accolto l’eredità di chi ci precede. In fondo è proprio questo il cammino della vita: essere nuovi pur essendo antichi. Vorrei che fosse questo  il fil rouge del nostro Centro Studi,  riuscendo a raggiungere le generazioni dei giovani musicisti in un’epoca che spesso favorisce il perdersi e non il trovarsi. Perdersi per un duplice motivo: per mancanza di radici e per incapacità di individuarsi. Credo che Giani-Luporini, attraverso la sua ascesi musicale,  abbia comunicato il senso di un passato che nutre – anziché soffocare – l’entusiasmo di nascere alla propria “atipica visione”».