Green Day Saviors, album cover

“SAVIORS”: ha senso ascoltare i GREEN DAY del 2024?

Si sta parlando tantissimo del nuovo album. Ma vale la pena ascoltarlo?

Non mi sono fermato alle anteprime e mi sono preso una settimana per darmi una risposta.

 

di Carlo “Charlie” Matteoli

 

Un ragazzino sorridente con un sasso in mano, dietro di lui incendi e devastazioni. Questa è la copertina di “Saviors”, una versione modificata (ma solamente nel viso del protagonista) di una foto scattata da Chris Steele-Perkins nel 1978 durante le rivolte (“The Troubles”) in Irlanda del Nord.

 

La foto originale, risalente al 1978, da cui è stata presa ispirazione per la copertina di Saviors.
Siamo alla ricerca di “Salvatori”?
C’è un’idea di dove o come poterli trovare?
Ma sopratutto, vale la pena ascoltare questo album?
 
Non mi sono fermato alle anteprime e alle recensioni che sono state buttate fuori pochi minuti dopo l’uscita del disco ma ho voluto prendermi una settimana per approfondire sia l’ascolto che la ricerca di dettagli e dichiarazioni della band che potessero spiegarne meglio il contenuto.


(Comunque la risposta è Sì.)

 

 

IL RITORNO DI ROB CAVALLO

«Tutto è cominciato da Billie che ha chiamato Rob per fargli un saluto e la prima cosa che Rob ha detto a Billie è stata: “Sei pronto a fare nuovamente la storia del rock and roll?”. E pensare che Billie voleva solo sapere come stava!». Questo è ciò che ha raccontato in più occasioni il bassista Mike Dirnt parlando della ritrovata collaborazione con il produttore dei super album “Dookie” e “American Idiot”. «Rob è dotato di una grande energia che riesce a sprigionare durante il processo di registrazione. Queste canzoni davvero riflettono quell’energia. Era l’uomo giusto per questo progetto, non c’è nessuno meglio di Rob con cui lavorare».

 

I TESTI:

LA POLITICA E LA CRITICA AL MONDO AMERICANO

Da “American Idiot” in poi i Green Day hanno spesso criticato il mondo americano e la sua politica. Anche in “Saviors” ci sono numerose canzoni in merito, a partire da “The American Dream is killing me” che già dal titolo non lascia molti dubbi. Una canzone che vuole affermare quanto il Sogno Americano si sia trasformato in un incubo, puntando il dito sulla difficoltà sempre crescente nel potersi permettere un luogo dignitoso in cui vivere:

Bulldoze your family home / Now it’s a condo […] Don’t want no huddled masses / TikTok and taxes […] Under the overpass / Sleeping in broken glass

Un altro esempio di critica a quanto succede ogni giorno negli States è “Living in the 20s”:

Another shooting in a supermarket / […] I drink my media and turn it into vomit […]  We’re all together and we’re living in the 20s

IL FATTORE PERSONALE E MENTALE, UNA SORTA DI AUTOANALISI

L’altro argomento molto presente nell’album è quello della condizione personale, sopratutto a livello mentale; un tema che Billie Joe ha cercato di cantare sin dagli esordi prima come tentativo di autoanalisi poi come volontà di aprirsi al proprio pubblico; ad esempio la canzone più famosa della band (sto parlando di “Basket Case” ovviamente!) parla di attacchi di ansia e di quando si ha l’impressione di stare per impazzire. La sensazione è che, nonostante siano passati tanti anni (esattamente 30 da “Dookie”, esattamente 20 da “American Idiot”), questa voglia di sfogarsi ed aprirsi sia ancora sincera arrivando facilmente ad empatizzare con chi ascolta. Ed ecco che l’approfondimento dei testi si fa interessante.  


Dal tema delle dipendenze in “Dilemma”:

I was sober, now I’m drunk again / I’m in trouble and in love again / I don’t want to be a dead man walking

ma anche in “Goodnight Adeline”:

Some days are holidays / Some days you call your mother / Some days you’re sober / But you’re still waking up with a hangover

passando per quello dell’amore per la musica (intesa anche come valvola di sfogo e terapia) e non per la fama in “Corvette Summer”:

Don’t want no money / Don’t want no fame / All I want is my records / Making my pain go away

a quello delle relazioni personali, ad esempio in “Bobby Sox”:

Do you wanna be my best friend? / You can drive me crazy / All over again / And I’ll bore to death / Doesn’t matter when we are in love […] Do you wanna be my girlfriend? / Do you wanna be my boyfriend? / Do you wanna be my…

Canzone, quest’ultima, con un testo apparentemente molto banale, quasi infantile. Ma leggendo fra le righe ne esce un significato ben più profondo; Billie Joe in proposito ha dichiarato: «Bobby Sox è una delle mie canzoni preferite dell’album, è la canzone degli anni ’90 che non abbiamo mai scritto. All’inizio era una dedica a mia moglie ma ultimandone la composizione ho voluto cambiarla aggiungendo: ‘Vuoi essere il mio ragazzo?’ oltre a ‘Vuoi essere la mia ragazza’… Quindi la canzone si è trasformata in una sorta di inno universale». Una scelta ben precisa se ci ricordiamo che ormai parecchi anni fa Billie Joe rivelò di essere bisessuale.


Un’altra traccia con un testo apparentemente poco interessante è “Look Ma, No Brains!”:

Don’t know much about history / ‘Cause I never learned how to read […] Nonsense is my heroin / […] I defy the science of the missing link / […] I said look ma, I ain’t got no brains / […] I don’t need your help

Sembra semplicemente la descrizione di una persona tanto svogliata quanto stupida ma qualche dichiarazione fatta dalla band nel corso delle ultime settimane ci viene in aiuto: il brano parla di ignoranza, auto isolamento e una voluta mancanza di interesse per la storia e ciò da cui possiamo effettivamente imparare per evitare di ripetere errori già fatti da altri in passato; uno dei tranelli più facili e insidiosi in cui cascare in questo momento storico.
«… ora siamo tutti imprigionati in questo algoritmo che ci viene somministrato ogni giorno. Anch’io ne sono vittima.» ha dichiarato Billie Joe in una recente intervista a Guitar World Magazine «Le cose che vedi online o su Instagram o YouTube alimentano semplicemente ciò che il tuo cervello desidera vedere. Pensi di essere informato, ma in realtà ti stai chiudendo sempre di più nella tua bolla.»

 

Se vuoi approfondire i testi di “Saviors” clicca sull’immagine e scarica Saviors Lyric Zine , booklet formato zine con tutti i testi rilasciato attraverso la pagina ufficiale saviorszine.greenday.com

LA MUSICA: “Fra American Idiot e Dookie”, dicono. Ma non aspettarti quel livello.

Dopo il tentativo mal riuscito di cambiare aria con “Father of All Motherfuckers”, questo nuovo lavoro torna sui binari che portano allo stile dei Green Day che la maggior parte delle persone può facilmente riconoscere ma, è bene metterlo in chiaro, certe dichiarazioni fatte nei mesi precedenti l’uscita in cui si faceva capire che questo poteva essere l’anello di congiunzione fra “Dookie” e “American Idiot” sono quantomeno esagerate.
“SAVIORS” NON È UN CAPOLAVORO e chi si è fatto abbindolare da certe sirene è sicuramente rimasto deluso.

 

MA ALLORA PERCHÉ ASCOLTARLO?

 

Perché è un album fatto veramente bene, suonato dall’inizio alla fine, senza trucchi e lavorato con una precisione sartoriale. Non solo. Questo nuovo capitolo potrebbe segnare un ulteriore punto di svolta per la band.

 

15 tracce, la maggior parte attorno ai 3 minuti di durata, tre attorno ai 2 e altrettante attorno ai 4. Nessuna di queste sembra “buttata via” o tagliata per mantenere un minutaggio in linea con le altre ma, al contrario, anche le più brevi non sanno di “fast food”, riuscendo in qualche caso quasi a stupire per quanto siano ricche di contenuto in così poco tempo.

C’è poco di “Dookie”, sicuramente c’è più “American Idiot”, con un’atmosfera impegnata e un’alternanza di ritmi sostenuti e canzoni più lente e introspettive. Un album che entra facilmente nelle orecchie, solamente poche tracce necessitano di essere metabolizzate con ascolti ripetuti.

Riff e solo frequenti, una scelta chitarristica molto diversa dai primi Green Day anche se il marchio di fabbrica resta ben riconoscibile.

Dopo i falsetti e i tentativi di cambiare modo di cantare di “Father Of All…” Billie Joe non si è perso d’animo e, seppur tornando più sulle sue corde, ha scommesso su parti vocali interessanti, non semplici e sicuramente toste da replicare live.


Le maggiori “certezze” arrivano dalla sezione ritmica: Tré e Mike non hanno mostrato cambiamenti particolari, mettendo basi solide in ogni brano. A quanto pare inoltre hanno contribuito moltissimo alla composizione dell’album (nei credits la scrittura e la produzione sono attribuite all’intera band, come già accaduto praticamente in tutti i precedenti lavori).  

 

Saviors, vinile rosa marbled e tote bag abbinata (Record Store)
Il vinile rosa “marbled” in abbinamento alla tote bag era disponibile in un numero limitato di negozi di dischi durante la serata di anteprima del 18 gennaio. Questo è stato acquistato da Sky Stone & Songs a Lucca.

CANZONE PER CANZONE:
[Clicca sul titolo e ascolta la canzone mentre leggi]

1. “The American Dream Is Killing Me” 3:06 Un ritmo di batteria fra “Longview” e “Minority”, il titolo ripetuto molte volte con l’intenzione di entrare subito nelle orecchie di chi ascolta e metabolizzarlo come inno. Uscito a fine ottobre, questo singolo è stato scelto come prima anticipazione dell’album.

 

2. “Look Ma, No Brains!” 2:03 La più corta e fra le più veloci, una canzone in cui il trio di Berkeley si butta sul punk rock più tradizionale, un po’ Ramones un po’ “Lookout” (ma, attenzione, non simile ai loro esordi).
La cassa in quattro sul ritornello è la perfetta mossa di Tré Cool: tanto semplice quanto efficace. È il secondo singolo, pubblicato ad inizio novembre.

 

3. “Bobby Sox” 3:44 Quinto singolo, uscito il 19 gennaio 2024 in contemporanea con la pubblicazione dell’album. La prima vera sorpresa durante l’ascolto: uno stile che rimanda alla seconda metà degli anni ’90 con band come Weezer e Lit (ve li ricordate i Lit??) e un ritornello urlato che mette alla prova Billie Joe su territori non abituali, quasi grunge. Un brano non tipicamente Green Day che i tre sono riusciti brillantemente a far loro.

 

4. “One Eyed Bastard” 2:52 Quarto singolo, uscito la vigilia dell’Epifania. Riff iniziale che rimanda ai Black Sabbath e giro portante di chitarra fra la loro “Holiday” e “The Passenger” di Iggy Pop. Il brano più paraculo dell’album, ideale per andare incontro al pubblico più pop e, probabilmente, anche per essere suonato dal vivo.

 

5. “Dilemma” 3:18 Terzo singolo, uscito ad inizio dicembre. Un brano veramente ben fatto che nel ritornello esalta al meglio la sensazione creata dalla dipendenza di sostanze alcoliche (e non solo) con i suoi alti e bassi fra euforia e disagio.

 

6. “1981” 2:09 Da ora in poi si va in territori totalmente inesplorati: sono terminati i singoli e le anteprime. “1981” è la più veloce assieme alla seconda traccia. Anche in questo caso si tratta di un brano punk rock tradizionale. Ritornello ripetuto a profusione, strumenti che vanno dritti senza troppi fronzoli. Più che una canzone, un ponte fra i due pezzi che gli stanno attorno percorso con la marcia alta.

 

7. “Goodnight Adeline” 2:56 Inizio con una sequenza di accordi molto simile a “When I Come Around” ma in una struttura quasi da ballad. La voce crea subito empatia con chi ascolta e si dirige verso un ritornello che spalanca in maniera perfetta le porte del brano cantandone il titolo. Uno dei più emozionanti e riusciti di tutto l’album.

 

8. “Coma City” 3:28 L’attacco rimanda la mente a “Panic Song” dei bei tempi di “Insomniac” (1995) ma la canzone poi si stabilizza e non esplode veramente come potrebbe.

 

9. “Corvette Summer” 3:02 Evidentemente passati i 50 i rocker iniziano ad avere voglia di fare il Bryan Adams almeno una volta nella loro vita. Questo è il turno di Billie Joe Armstrong. Forse ne avremmo fatto anche a meno ma… come negare al nostro BJ uno sfizio?

 

10. “Suzie Chapstick” 3:16 Un testo emozionale riguardante la vita e la gente che inevitabilmente e imprevedibilmente viene e va, appoggiato su una musica molto soft per cercare un maggior senso di introspezione. Not my cup of tea, direbbero gli anglofoni. E per restare in tema di cose da bere… se “Have a nice day” degli Stereophonics” è stata utilizzata in modalità gioiosa per lo spot del Martini questa potrebbe andar bene al massimo per la pubblicità di un Amaro.

 

11. “Strange Days Are Here to Stay” 3:05 Attacco chitarra stoppata e voce, ritornello che apre bene. Se fosse stata un po’ più veloce e con una distorsione un pochino più pesante avrebbe potuto diventare una via di mezzo fra “Basket Case” e “Letterbomb”. Forse non hanno voluto correre il rischio?

 

12. “Living in the ’20s” 2:06 Qui i Green Day hanno giocato a fare gli Hives i quali, guarda caso, saranno in tour con loro per le date europee.

 

13. “Father to a Son” 3:54 Chitarra acustica e tema facilmente riconoscibile dal titolo; Billie Joe ha due figli grandi ed è arrivato il momento di far loro una dedica matura. Se non ci fosse questa (imprescindibile) premessa sarebbe un pezzo palloso e decisamente non da Green Day, almeno fino alla prima metà. L’arrivo degli archi e il ritornello ripetuto vanno a braccetto verso un finale che non si può certo definire epico ma che, pensando a tutto il contesto, un po’ di pelle d’oca ce la può anche far venire. Chi l’avrebbe mai detto che mi sarei messo a fare un ragionamento simile sui Green Day?

 

14. “Saviors” 2:55 Solitamente il brano che da il titolo all’album ha un certo impatto. In questo caso invece la canzone non è stata scelta per nessuno dei singoli e un motivo probabilmente c’è. Ad ogni modo nella sequenza di accordi e nella linea vocale c’è un’apertura, un qualcosa che lascia uno spiraglio positivo anche se probabilmente non potrà essere toccato con mano a breve. Billie Joe ci spiega perché questa canzone ha dato il titolo all’album: «… oltre ad essere una delle prime canzoni che ho scritto per questo disco, ho anche pensato, “Accidenti, questa suona come la prima traccia di un album.” Alla fine quella prima canzone è diventata “American Dream”, ma mentre cercavamo di capire come volevamo chiamare l’album durante il missaggio, stavo ascoltando “Saviors” e sentivo davvero il tipo di grido disperato di aiuto che il brano trasmette. Sta cercando di dare un senso al mondo. Quindi ho pensato, “Dovremmo chiamare l’album Saviors” perché penso che tutti stiano cercando qualcosa o qualcuno a cui aggrapparsi e in cui credere.»

 

15. “Fancy Sauce” 4:01 Con chitarra acustica e voce sommessa a fare da base per la strofa, “Fancy Sauce” si presenta come classico, scontato, pezzo di commiato. Il ritornello aggiunge pathos e porta la canzone più lunga di “Saviors” ai titoli di coda. Non è difficile immaginarsi un sipario che si chiude lentamente mentre la musica suona ancora.

We all die young someday / We all die young and watch it slip away / We all die young someday

IN CONCLUSIONE (IN THE END)

Il quattordicesimo full lenght dei Green Day non è una copia di ciò che li ha resi famosi né un goffo tentativo di cambiare ma un buon album che entra bene nelle orecchie e, per chi lo vuole approfondire, può regalare anche molto altro. Il tutto senza perdere quel marchio di fabbrica che permette a chiunque di riconoscere subito chi è che sta suonando, nonostante i ritmi serrati che tanto li hanno contraddistinti per buona parte della loro carriera abbiano lasciato molto spazio ad altre soluzioni stilistiche.
Con un pubblico che va dagli 11 ai 60, i Green Day nel 2024 sono riusciti nell’impresa di risultare ancora credibili oltre che onesti, cosa che la maggior parte dei loro colleghi non è stata in grado di fare.

 

E I SALVATORI?

Se Billie Joe nello spiegarci la title-track ci ha detto che tutti stanno cercando qualcosa o qualcuno a cui aggrapparsi e in cui credere, è un po’ tutto l’album a darci l’indicazione: i primi salvatori siamo noi stessi nei nostri confronti e nei confronti di chi ci sta intorno, da chi ci è effettivamente vicino a chi ci può passare accanto per strada. Continuare ad utilizzare la testa, leggere la storia, imparare dai propri errori e da chi li ha fatti prima di noi, approfondire, non fermarsi alle apparenze ma allo stesso tempo riconoscere i propri limiti, non aver paura di aprirsi e… ognuno può aggiungere un elemento all’elenco. D’altra parte non stiamo tutti vivendo questi giorni strani negli anni ’20?