2024

El Santo: la colonna sonora dei dannati del West

– di Gianmarco Caselli El Santo, un disco per spiriti ribelli e solitari, per chi combatte contro le ingiustizie e sta sempre dalla parte del più debole; e la potente copertina di Cristina Rovini evoca in un attimo proprio tutte queste suggestioni proiettandoci nel far west e nei suoi spazi sconfinati.     Stiamo parlando del secondo album di Dome La Muerte E.X.P., il gruppo spaghetti western del mitico Dome La Muerte, uscito per la Go Down Records. E non stupisce che El Santo faccia riferimento a eroi che combattono contro le ingiustizie, a eroi solitari fuori dal sistema se si pensa a Dome La Muerte, indubbiamente il personaggio musicale più importante della storia musicale underground italiana che – fra i vari riconoscimenti – ha ricevuto nel 2019 il Premio Capannori Underground Festival 2019 per la diffusione della cultura Underground.     El Santo non è un disco come gli altri anche dal punto di vista concettuale dal momento che è concepito come una colonna sonora di un film che non esiste e, al tempo stesso, sembra una Spoon River del Far West: ogni singolo brano è infatti ispirato a un personaggio, un luogo o una situazione. Con questo album prosegue così la coraggiosa avventura di Dome La Muerte E.X.P. a otto anni dall’uscita del primo, Lazy Sunny Day, ma sempre con la stessa formazione. Va ricordato che fra il primo e il secondo. di Dome La Muerte E.X.P. è uscito in digitale un singolo per l’etichetta Cinedelic che ha prodotto il primo disco insieme alla GODown.     Abbiamo intervistato Dome La Muerte proprio riguardo a questo nuovo album.   Quali sono le differenze sostanziali rispetto al primo album, Lazy Sunny Day? Il primo album mescolava sonorità spaghetti western con brani anche cantati che si rifacevano sia alla psichedelia anni ’70, sia ai raga della musica indiana e infatti c’è molto utilizzo del sitar; la particolarità era quella di mescolare la psichedelia con i suoni da canyon. Questo invece – prodotto dalla GoDown records – è strutturato come una vera e propria colonna sonora. Ci sono dei temi, delle tracce che hanno forma canzone anche se sono tutte strumentali. Unica eccezione, a questo proposito, è la bonus track che è presente solo su vinile, registrata con Hugo Race e Max Larocca. Ci sono brani che durano più di tre minuti come altri che durano un minuto e poco più, con temi che ritornano anche durante l’album   Avevi in mente un film in particolare quando hai concepito questo album? L’album me lo sono inventato nella testa: tutti i film spaghetti western, anche quelli di serie zeta, hanno una cosa che non capivo quando avevo 13 anni e li vedevo al cinema del paese: hanno tutti un risvolto sociale e politico al di là del fatto che all’epoca venivano presi come film di puro svago e divertimento. Invece nelle trame c’è sempre il prepotente, l’eroe che lo combatte, che si scontra contro il potere, contro le ingiustizie e sta sempre dalla parte del più debole. Riflettono il periodo storico della fine anni ’60 e inizio ’70 in cui c’era una rivoluzione nelle strade; era un periodo di grandi sogni di cambiamenti che si rifletteva in questo tipo di cinema come nell’horror e nella fantascienza. Erano modalità per fare una fotografia della società. Per questo motivo ho preso questo spunto dai film spaghetti western e ho creato una colonna sonora. Ogni brano è dedicato a un personaggio, un attivista, un nativo americano.   A questo proposito c’è una dedica particolare. Sì, sul retro della copertina c’è scritto Free Leonard Peltier: è un prigioniero politico nativo americano, una sorta di Nelson Mandela degli indiani di America per il quale chiediamo la liberazione dagli anni ’80. Sul retro di copertina abbiamo riportato anche un indirizzo per avere informazioni utili per supportare la richiesta della sua liberazione.     Ci sono anche brani dedicati non solo a personaggi. Una situazione cui è dedicato un brano è l’ultimo grande massacro dei nativi americani a fine ‘800. Ma nello stesso posto è rinata la resistenza indiana. È un luogo simbolo. Ogni brano è un film. Ma come ordinare i brani lo avevo in mente ancor prima di cominciare l’album. È nata la storia prima della musica.   Musicalmente chi ha scritto i brani? I brani li ho scritti io, poi ogni componente del gruppo ci mette del suo perché sono musicisti che hanno una grande cultura musicale. Alcuni brani sono firmati con il tastierista Luca Valdambrini.   Ti piace Tex Willer? Lo leggevo. Da piccolo mi piaceva anche se non tutto. Mi piaceva di più Zagor. Anche Ken Parker. C’è un brano, Long Rifle, che è dedicato proprio a Ken Parker: è l’unico personaggio immaginario dell’album, tutti gli altri sono veri. Uno è dedicato a Gian Maria Volontè.   Esistono altri gruppi spaghetti western? In California ce ne sono.   Quando e come hai iniziato a pensare di fare un gruppo spaghetti western? Sonorità del genere le inserivo già nei primi dischi con i Not Moving, con chitarre “morriconiane”: mi è sempre piaciuta quel tipo di sonorità. Già nel mio primo disco c’erano alcuni pezzi dark blues o stile spaghetti western, però con un po’ di psichedelia. Poi tutte le band che avevo, anche i Diggers, avevano alla fine almeno un pezzo spaghetti western. Ho pensato che non potevo massacrare tutti i gruppi in cui suonavo con questa storia, dovevo fare un gruppo dedicato esclusivamente a queste sonorità.   Che tipo di riscontro ha una band con sonorità così particolari? Abbiamo avuto più recensioni e passaggi radio all’estero che in Italia, dai resoconti che mi sono arrivati. Che la band sarebbe stata molto di nicchia, lo sapevo già in partenza. Mi sono meravigliato quando ci ha notato Capossela e ci ha invitato a Sponz Fest con migliaia di persone di pubblico. Quando il pubblico ci vede ci riempie di complimenti, tutti apprezzano l’originalità. È comunque uno spaghetti western distorto, gli abbiamo dato il nostro suono con strumenti vintage.   Due

CCCP – Tour alla conclusione: cosa accadrà dopo?

– di Gianmarco Caselli –   Con la data del 27 agosto al Festival Settembre Prato è Spettacolo, organizzato da Fonderia Cultart in collaborazione con il Comune di Prato, rimane un’ultima data – a Mantova il 29 agosto – per il tour dei CCCP Fedeli alla Linea: “In fedeltà la linea c’è.”. Un tour che abbiamo seguito fin dalla sua prima epica data il 21 maggio a Bologna con quasi novemila persone ad assistere allo storico ritorno sulle piazze italiane della band simbolo del punk italiano. Una reunion preceduta dall’imponente mostra ai Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia sulla storia del gruppo.   Il ritorno dei CCCP, che si erano sciolti nel 1990 con quattro album all’attivo che hanno segnato indelebilmente la storia del punk italiano, è stato tanto atteso quanto incredibile.     Il tour ha avuto un successo strepitoso, e forse è andato anche oltre le previsioni del gruppo stesso, accompagnato da un merchandising notevole, nonché dalla pubblicazione di un nuovo album, Altro che nuovo nuovo: il primo live dei CCCP risalente al 1983. Quello che sicuramente ha funzionato è stato vedere sui palchi un gruppo vivo, non l’imitazione di se stesso: chi è stato ad almeno una data del tour, ha visto i CCCP, con Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici e Danilo Fatur, affiatati e coinvolgenti come se non ci fosse stata una pausa lunga più di trenta anni.   La storia dopo i CCCP la conosciamo tutti: nell’ultimo disco del 1990, Epica Etica Etnica Pathos erano entrati nella formazione alcuni ex Litfiba come Gianni Maroccolo e lo storico batterista Ringo De Palma (per la cronaca sarà l’unico album dei CCCP con una batteria vera poi, ultimato l’album, Ringo purtroppo lascerà la nostra valle di lacrime) e da questa formazione “allargata” con ben otto musicisti, sciolti i CCCP, nacquero i CSI – Consorzio Suonatori Indipendenti. Con la clamorosa fuoriuscita di Zamboni e lo scioglimento dei CSI, nasceranno i PGR Per Grazia Ricevuta e, in un lancinante e inesorabile gioco al massacro di sottrazione di componenti dalla formazione, i PG3R costituiti solo da Ferretti, Maroccolo e Giorgio Canali.     In ogni caso, i CSI non erano i CCCP: questi non esistevano più dal 3 ottobre del 1990, data della riunificazione tedesca.  Un’assenza che sembrava definitiva, durata più di trenta anni e durante la quale, finiti anche i CSI e i PGR, soprattutto Zamboni e Ferretti hanno proseguito con le loro carriere soliste. A questo proposito, se vi piacciono le sonorità alla CSI, se non lo avete ancora fatto ascoltate La mia patria attuale, album solista di Zamboni del 2022, e rimarrete piacevolmente sorpresi. Non mancano le polemiche ovviamente, per i prezzi dei biglietti e del merchandising, ma del resto i CCCP sono sempre stati in grado di sollevarle, a partire da quando firmarono il contratto con la Virgin che fu sicuramente determinante nel proiettare il gruppo in un’orbita meno di nicchia ma che – allo stesso tempo – sollevava malumori fra i fan duri e puri della scena alternativa. Per non parlare, ovviamente, delle prese di posizione politiche e religiose di Ferretti. Ma del resto il punk è anche questo, provocazione: basti pensare ai Sex Pistols con Sid Vicious che ostentava la svastica, al contratto con la EMI, al Filthy Lucre Tour (il tour reunion dichiaratamente fatto a scopo di lucro). E comunque tutto ciò ha permesso di far conoscere al grande pubblico un gruppo, i CCCP, con una musica completamente nuova per il panorama musicale italiano, e unico anche per i testi e le performance di Annarella e Fatur. Sul palco la band per il tour ideato da Musiche Metropolitane è stata accompagnata da Luca Rossi, Simone Filippi, Ezio Bonicelli, Simone Beneventi e Gabriele Genta   Adesso manca la data di Mantova per chiudere il tour.   La domanda fatidica è cosa accadrà dopo.   Se da una parte molti immaginano che venga pubblicato un disco live testimonianza di questo tour, quello che tutti i fan sperano veramente è che la band non scompaia nuovamente (e definitivamente) e che riprenda la propria attività realizzando magari un nuovo album di inediti. Una speranza forse esagerata, ma a questo punto tutto è possibile.    

Nuova data a Prato per il tour dei CCCP

– di Gianmarco Caselli –   Si aggiunge a Prato una nuova data per il tour dei CCCP Fedeli alla Linea il 27 agosto prossimo nella programmazione del Festival Settembre Prato è Spettacolo. Un ritorno alla grande, quello della band icona del punk italiano, con un tour che è già storia, iniziato con l’ormai leggendaria data a Bologna del 21 maggio scorso.   Un tour, quello dei CCCP, che non è un’operazione nostalgica ma un vero e proprio evento che dà una scossa alla stagnante musica italiana. La formazione è al completo, quello che per i fan sembrava un sogno irrealizzabile è diventato incredibilmente realtà: Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Danilo Fatur e Annarella Giudici danno voce non solo alla generazione che li ha visti in auge negli anni ’80, ma anche alle nuove leve che non vogliono omologarsi alla musica mainstream.     Sul palco di Piazza Duomo a Prato i CCCP daranno vita a un evento che va quindi oltre il tradizionale concetto di concerto grazie alle performances di Annarella e Danilo Fatur, coinvolgenti e instasncabili. In scaletta i grandi classici della band, alcuni dei quali rivisitati, da 1964-1985 Affinità-divergenze fra il compagno Togliatti e noi – Del conseguimento della maggiore età del 1985 a Epica Etica Etnica Pathos del 1990. Il Festival Settembre Prato è Spettacolo, è organizzato da Fonderia Cultart in collaborazione con il Comune di Prato.    

Yo Yo Mundi

La musica collettiva e resistente degli Yo Yo Mundi

– di Chiara Venturini –   La musica collettiva e resistente degli Yo Yo Mundi  Intervista con Paolo Enrico Archetti Maestri   Yo Yo Mundi: uno dei tanti gruppi emersi nei primi anni ‘90, gli ultimi momenti di gloria della musica alternativa italiana; nati in un periodo in cui appunto tutto sembrava possibile e la creatività sprizzava da tutte le parti, gli Yo Yo Mundi proseguono tuttora la loro attività musicale con tenacia e passione, tra collettivismo e impegno. Abbiamo intervistato Paolo Enrico Archetti Maestri, il cantante, chitarrista e portavoce del gruppo. Gli Yo Yo Mundi, una realtà degli anni ‘90 che va avanti con continuità senza mai fermarsi. Te lo saresti mai aspettato? Lo abbiamo voluto fortemente ed è così ancora oggi, anzi oggi più che mai! Quando io e gli altri componenti degli Yo Yo Mundi ci siamo messi insieme, dissi loro che il mio sogno era sempre stato quello di scrivere canzoni e di suonare da professionista (avevo già sfiorato questa possibilità con due band). Il gruppo nasce con  Eugenio Merico (batterista), praticamente subito abbiamo coinvolto Andrea Cavalieri (bassista), e dopo un anno di prove e composizione nella band è entrato Fabio Martino (fisarmonica e tastiere), all’epoca quindicenne. Questa è la formazione originaria degli Yo Yo, il nostro compleanno cade il 5 marzo 1989, in occasione del nostro primo live in quattro. Abbiamo subito avuto la percezione che poteva funzionare, perché noi quattro funzionavamo prima di tutto come persone e poi anche come musicisti, ognuno con la propria peculiarità, ma con la grande attitudine di aiutarci, sempre. E poi perché avevamo gli occhi che brillavano quando si parlava di musica. Infine ci voleva coraggio, spensieratezza, tenacia, determinazione e tanta voglia di emergere e a noi non mancava nulla di tutto questo. Ci siamo fatti i primi anni ‘90, con dei semplici demo e con quelli abbiamo ottenuto recensioni su diversi giornali nazionali (all’epoca c’erano tanti giornali specializzati e quasi tutti avevano uno spazio dedicato alla musica indipendente e ai demotape). E poi suonavamo ovunque senza avere neppure un disco, ma solo una grande intraprendenza e parecchia faccia tosta. Ed Eugenio già all’epoca si dimostrava abilissimo a trovare date e organizzare le continue trasferte.   Erano altri tempi, altre situazioni, contesti molto diversi da quelli in cui viviamo oggi. Erano situazioni in cui ci si doveva adattare a tutte le cose più pazzesche e bizzarre ma allo stesso tempo creative perché ci permettevano di crescere e diventare più abili e potenti ogni volta che riuscivamo a suonare da qualche parte (facevamo anche tutti i concorsi possibili vincendone diversi, era molto istruttivo parteciparvi perché spesso c’erano impianti belli e un pubblico vergine, non quello delle solite birrerie, c’era, all’epoca molta curiosità e molta disponibilità da parte del pubblico). A proposito di situazioni bizzarre… A volte non c’era neppure il palco e ricordiamo certi impianti audio luci… davvero spaventosi!! A un certo punto avevamo un po’ esaurito birrerie e pub in cui suonare e non ci piacevano neppure più tanto. Ci mancava qualcosa, allora abbiamo cominciato a suonare in strada e siamo arrivati anche in Francia, prima la Costa Azzurra e poi addirittura quindici giorni a Parigi, mantenendoci quasi completamente con quello che ci offrivano per strada mentre suonavamo le nostre canzoni e quelle di Paolo Conte (che anni dopo definì “selvatica” la nostra musica!). Quando siamo tornati ci siamo guadagnati dei palchi più importanti. Non avevamo letteralmente più paura di niente. Nel ‘91 abbiamo realizzato un album completamente autoprodotto intitolato “Nuovi oggetti di culto”, un disco che non è mai uscito perché noi volevamo fortemente essere prodotti da Gianni Maroccolo (Litfiba, CSI) e riuscimmo grazie a un amico giornalista, Marco Baratti, a incontrarlo e nacque immediatamente una simpatia, oltre a stima reciproca. Lui preferiva, giustamente, lavorare da zero con noi e le registrazioni acerbe di “Nuovi oggetti di culto” diventarono vecchie e inutili in un battibaleno. Con lui abbiamo realizzato prima un demo con alcuni inediti e poi, finalmente, l’anno successivo, cinque anni dopo la nascita del gruppo abbiamo registrato e dato alle stampe il primo album ufficiale del gruppo.  Quanto sono rimasti gli Yo Yo Mundi di un tempo? Quanto e come sono cambiati? I Litfiba dicevano: “Siamo cinque dita della stessa mano che sul palco si trasformano in pugno.” Noi eravamo in quattro e abbiamo voluto assolutamente trovare il quinto Yo Yo. Il desiderio si è materializzato nella persona di Fabrizio Barale (chitarra), che era l’assistente di studio dove registrammo l’album “Percorsi di musica sghemba” (Columbia – Sony, 1996). Finalmente anche noi potevamo diventare un pugno chiuso! Questa formazione a cinque è durata fino al 2013, poi Fabri cominciò a essere meno presente perché aveva cominciato a fare tour con l’amico Ivano Fossati (che fu nostro ospite ne “L’Impazienza”, 1999 e scrisse per noi la canzone “Il sud e il nord” e noi Yo Yo fummo ospiti nel suo album “La disciplina della terra”). Poi anche Fabio è andato a vivere in Svizzera (suona con i Vad Vuc, grande band ticinese!), la distanza e gli impegni, lavorativi e familiari, hanno  limitato assai la frequentazione artistica e così nel 2013 ci siamo trasformati in un collettivo. Fabio inizialmente è stato affiancato e poi sostituito da Chiara Giacobbe, violinista e cantante con noi da undici anni. A seguire abbiamo ospitato Simone Lombardo, suonatore di strumenti etnici che è a tutti gli effetti uno Yo Yo ad honorem. Così come Dario Mecca Aleina il nostro ingegnere del suono e Daniela Tusa l’attrice che collabora con noi da quasi dieci anni o ancora Ivano A. Antonazzo che non suona, ma è un artista che si occupa delle copertine degli album, dei video, delle fotografie.   Ci siamo trasformati in un collettivo di circa una decina di persone che come una fisarmonica si apre e si chiude a seconda delle esigenze del momento e dei progetti. In qualche modo abbiamo ovviato così ad uno scioglimento che non è mai avvenuto, ci siamo tenuti insieme con un filo tanto sottile, quanto resistente.

I CCCP infiammano Bologna

– di Gianmarco Caselli – I CCCP Fedeli alla linea di nuovo insieme sul palco in Piazza Maggiore a Bologna. Chi era presente in quella piazza martedì 21 maggio sa di avere partecipato a uno spettacolo unico, indimenticabile e potrà dire un giorno: io c’ero. Una piazza gremita all’inverosimile, quasi novemila persone, accorse per assistere a un evento a dir poco storico per la musica italiana. Non si tratta infatti “solo” della riunione del gruppo simbolo del punk italiano, ma anche della prima data del tour nella penisola e, cosa assolutamente non secondaria, si è tenuto a Bologna (cosa non indifferente essendo i CCCP un gruppo punk emiliano). Un’emozione che lascia quasi sconvolti pervade il pubblico quando sul palco salgono i quattro CCCP: Massimo Zamboni, Giovanni Lindo Ferretti, Danilo Fatur, Annarella Giudici. Difficile dire se il tempo si è fermato o ha ripreso a muoversi. Una sensazione ovviamente ancor più forte di quella che abbiamo potuto provare visitando la mostra “Felicitazioni” a Reggio Emilia. Di certo, per chi ha minimo una quarantina di anni, si tratta di una sensazione strana, stranissima. Da un lato è ovviamente fantastico, soprattutto per chi è cresciuto con la musica dei CCCP e magari li ha visti suonare, rivederli insieme, rivivere quelle emozioni. Però è anche straniante soprattutto sentire certi testi in un contesto storico culturale completamente diverso. Quando la band attacca con “Depressione caspica” il pubblico realizza che tutto è vero, i CCCP stanno suonando di nuovo insieme. E dal secondo brano, “Rozzemilia”, si scatena l’inferno con un pogo che non si placa quasi mai dall’inizio alla fine del concerto.     Ferretti si è sbarbato, non ci sono più i baffoni con cui lo vedevamo negli ultimi tempi e questo particolare ci fa credere ancor più di essere tornati ai vecchi tempi; canta per la maggior parte del concerto con le mani in tasca, spesso con gli occhi chiusi: la tensione per un evento del genere è palpabile, sembra sciogliersi con mezzi sorrisi solo quando, un paio di volte, Annarella va da lui per fargli una carezza o per offrirgli una sigaretta. Anche Fatur a un certo punto gli dà una pacca. Zamboni è più a suo agio, si diverte sul palco e si vede; quando poi prende il microfono e si mette a cantare Kebabträume dei DAF saltellando, esprime tutta la sua voglia e la sua felicità di avere di nuovo i CCCP riuniti. Il sorriso è costantemente stampato sulla sua faccia.La chitarra di Zamboni è perfetta, il sound è quello che i fan vogliono, quello originario della band, anche quando le musiche vengono presentate in vesti nuove, in rielaborazioni. Annarella cambia più volte personaggio, ora vestita in un burka, ora avvolta nel tricolore italiano, ora con la bandiera del PCI, e corre imperturbabile alternando il tutto a brevi letture. E che brividi sentirla introdurre, urlando, “Emilia paranoica”; che emozione lancinante quando tira il suo grido a “bombardieri su Beirut.” Fatur è semplicemente meraviglioso:  sfodera il suo fisico che non è propriamente scultoreo come una volta, e interagisce con il pubblico anche con espressioni facciali che solo quelli nelle prime file come noi – nonostante il pogo allucinante – hanno avuto la fortuna di ammirare nella sua interezza.     Ferretti si rivolge direttamente al pubblico solo nel finale quando esprime, a nome del gruppo, il proprio piacere di essere lì, con una sua tipica, breve risata rilassata e liberatoria. Sono quasi una trentina i brani che sono stati eseguiti per più di due ore di concerto. Un’immersione surreale e allucinante. Se ne esce sconvolti e consapevoli che non tutto è finito, un’esperienza che va oltre il concerto, un rito ancestrale che ci fa sentire che una parte di Italia ancora c’è, e chi era presente sa di farne parte. Forse alcuni di noi realizzeranno solo in questi giorni di avere partecipato a qualcosa di epico. E ora i fan si augurano di vedere presto il vinile e il dvd di questa serata.  

Giacomo Puccini fotografo

“Qual occhio al mondo”. Puccini fotografo – La mostra allestita alla Fondazione Ragghianti rivela un nuovo aspetto del compositore lucchese   – di Gianmarco Caselli   È un Giacomo Puccini del tutto inedito e sconosciuto quello che viene proposto nella mostra “Qual occhio al mondo”. Puccini fotografo alla Fondazione Ragghianti di Lucca aperta fino al 1° aprile. Realizzata dalla Fondazione Centro studi Licia e Carlo Ludovico Ragghianti in collaborazione con la Fondazione Simonetta Puccini per Giacomo Puccini di Torre del Lago e il Centro studi Giacomo Puccini di Lucca, l’esposizione svela infatti una passione del compositore che non conoscevamo.   La mostra si articola in più sezioni basandosi sui materiali conservati nell’Archivio Puccini di Torre del Lago, e in piccola parte provenienti da altri fondi. Una vera e propria sorpresa: fino all’apertura dell’Archivio Puccini di Torre del Lago (Lucca), in particolare quando è stata concessa agli studiosi la consultazione della più importante parte della documentazione, nessuno immaginava di trovarvi pellicole e fotografie realizzate dal compositore stesso. Sono oltre ottanta le fotografie esposte. E se Puccini ha interpretato le emozioni e il mondo con la sua musica, qui possiamo ammirare come interpretasse il mondo anche con la macchina fotografica. Ai tempi del compositore non solo non era così scontato possedere una macchina fotografica, anzi. Puccini, amante delle nuove tecnologie, ce l’aveva, anch’essa esposta a Lucca, un raro modello Kodak No. 4 Panorama Camera Model B, apparecchio a cassetta (realizzato in metallo, legno e vetro) ricoperto in cuoio e prodotto nel 1899. Anche solo per le dimensioni, non piccole come le fotocamere a cui siamo abituati da anni, è evidente come scattare fotografie da parte del compositore fosse qualcosa di più che un passatempo.     Non mancano notevoli scatti di complessi architettonici e vedute panoramiche di città visitate dal compositore come New York, ma  uno dei soggetti che attira maggiormente Puccini è la natura selvaggia, incontaminata, a partire dal “suo” Lago di Massaciuccoli. Non si può rimanere indifferenti di fronte alle foto in cui il compositore ritrae  i cavalli nella pampa o l’oceano, catturato in quella che avrebbe potuto essere una semplice fotografia ricordo scattata dalla nave, e che invece grazie a Puccini emerge in tutta la sua forza naturale, irrazionale e indomita.   Nelle fotografie del compositore il confine fra fotografia artistica e scatto per “immagazzinare” nella memoria impressioni da trasferire forse in seguito nelle opere, è sottile. È questa la vera sorpresa e il valore di una mostra che va al di là della mera curiosità dello scoprire un Puccini anche fotografo.    E Puccini, sempre acuto, conscio di ciò che poteva essere valido e di ciò che poteva non esserlo durante la stesura delle proprie musiche, è probabilmente consapevole anche della validità artistica di alcuni dei suoi scatti. Ne è prova una fotografia in cui il compositore lucchese ha immortalato due barche sul lago di Massaciuccoli. Da questa foto Puccini farà realizzare una cartolina e, sotto l’immagine, scriverà a penna «!Opera mia!».     Per quanto si tratti di una annotazione ironica, è chiaro come il musicista sia consapevole di avere realizzato qualcosa di artistico, un’opera creata con una tecnologia relativamente nuova che può gareggiare con la pittura. E non a caso questa cartolina è indirizzata al pittore Guglielmo Amedeo Lori, esponente non di secondo piano del Divisionismo. Nella parte finale della mostra troviamo una serie di bellissimi ritratti fotografici del compositore fra i quali quelli che hanno tramandato la sua iconica immagine così come la conosciamo noi oggi. L’esposizione, a cura di Gabriella Biagi Ravenni, Paolo Bolpagni e Diana Toccafondi, sarà visitabile gratuitamente fino al 1° aprile 2024 nella Sala dell’affresco del Complesso di San Micheletto a Lucca, con ingresso da via Elisa, 8.     La mostra, realizzata con il supporto della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, si avvale del patrocinio della Regione Toscana e della Provincia e del Comune di Lucca, con la partnership della Fondazione Giacomo Puccini di Lucca, della Fondazione Festival Pucciniano di Torre del Lago e dell’Associazione Lucchesi nel Mondo, ente gestore del Museo Pucciniano di Celle. Il comitato scientifico della mostra è costituito da Claudia Baroncini, Barbara Cattaneo, Maria Pia Ferraris, Michele Girardi, Giovanni Godi e Umberto Sereni.   Per l’occasione è stato realizzato un catalogo (Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte) contenente le riproduzioni di tutte le fotografie esposte e i testi di Gabriella Biagi Ravenni, Paolo Bolpagni, Manuel Rossi ed Eugenia Di Rocco.     Sede Sala dell’affresco | Complesso di San Micheletto | Lucca Ingresso da via Elisa n. 8   Orari dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18 apertura straordinaria lunedì 1° aprile   | Ingresso gratuito |    www.fondazioneragghianti.it info@fondazioneragghianti.it tel. 0583.467205